In vista della manifestazione regionale dei/delle migranti del 13 giugno, i migranti scrivono una lettera pubblica alla Regione Emilia Romagna per spiegare i motivi della protesta e rivolgere richieste precise alle istituzioni regionali:
Al Presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini,
all’Assessore alle politiche di welfare e alle politiche abitative con delega all’immigrazione Elisabetta Gualmini
Dei circa cinque milioni di migranti che vivono in Italia, quasi seicentomila vivono in Emilia Romagna: almeno il 13% della popolazione. Di questi, oltre 350 mila sono lavoratori dipendenti, mentre molti hanno scelto di aprire un’impresa, tanto che oggi l’8,5% delle imprese presenti in regione è gestito da stranieri. Inoltre, un bambino su quattro che nasce in Emilia Romagna è figlio di genitori stranieri, mentre nelle scuole sono quasi centomila gli studenti stranieri, l’incidenza più alta d’Italia! Questi numeri sono pubblici e dovrebbero essere noti a tutti e soprattutto a voi: basta del resto guardarsi intorno e vedere come sono cambiate le città, le scuole e i luoghi di lavoro in questi anni. Tuttavia, li ricordiamo perché di noi si parla solo quando c’è un’emergenza, se affonda un barcone provocando centinaia di morti, o se a qualche politico conviene indicarci come criminali e capri espiatori in questo momento di crisi. Abbiamo perciò deciso di parlare noi.
Tutti noi, e così i nostri figli, dipendiamo in qualche modo da un permesso di soggiorno, perché senza un permesso di soggiorno regolarmente valido siamo considerati irregolari, ci vengono negati i servizi, non troviamo lavoro (se non in nero), rischiamo la detenzione in un CIE o l’espulsione, perdiamo la casa e le nostre famiglie sono a rischio. Come denunciamo da anni, l’attuale legge Bossi-Fini, che lega in modo stretto il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, serve solo a due cose: produce sfruttamento, perché i datori di lavoro ci ricattano dicendo che se non accettiamo quello che vogliono loro, allora non ci danno il lavoro e poi perdiamo il permesso; e produce clandestinità, infatti con il lavoro sempre più precario e i salari sempre più bassi, diventa difficile raggiungere i requisiti che ci sono richiesti e, dunque, se perdiamo il lavoro e spesso anche se lavoriamo ma abbiamo un reddito basso ci viene tolto il permesso. Voi che dite di volere l’integrazione, vi sembra si possa ottenere qualcosa di buono con questo sistema? Noi vi diciamo di no.
Come se non bastasse una legge costruita contro di noi, negli ultimi anni assistiamo a qualcosa in più: le Questure e le Prefetture, che gestiscono i permessi di soggiorno, usano la loro discrezionalità in modo sempre più restrittivo. Il risultato è che è diventato sempre più difficile rinnovare il permesso di soggiorno perché ci dicono che il nostro reddito è troppo basso, che il nostro datore di lavoro non ha versato i contributi, che la nostra casa è troppo piccola. Se poi abbiamo contratti di lavoro di breve durata, come ormai quasi tutti, ci rinnovano il permesso solo per brevi periodi. Così dopo poco dobbiamo cominciare tutto da capo, con lunghe file di attesa e un esborso di più di 200 euro per ogni rinnovo. Inoltre, spesso i tempi del rinnovo sono così lunghi che dobbiamo aspettare mesi e, a volte, il permesso ci arriva quando è già quasi scaduto, anche se la legge prevede 60 giorni. Mentre siamo in attesa, i datori di lavoro non ci vogliono assumere e possiamo avere mille altri problemi amministrativi. A questo si aggiungono adesso le anagrafi cittadine, che rendono sempre più difficile ottenere la residenza, e l’articolo 5 del decreto Lupi che colpisce chi vive in case occupate togliendo i servizi e la residenza, ma senza la residenza tutti gli altri procedimenti si bloccano, portandosi dietro le nostre vite. La stessa discrezionalità colpisce tanti uomini e donne che chiedono asilo e attendono per mesi una risposta e, nel frattempo, sono intrappolati in un limbo nel quale non sanno cosa fare. Intanto le loro domande sono valutate da commissioni territoriali che decidono in modo arbitrario, mentre associazioni e cooperative spesso dubbie ricevono i finanziamenti per gestire quella che chiamano accoglienza. Più noi aspettiamo più qualcuno ci guadagna. E intanto i politici razzisti puntano il dito contro di noi, mentre gli altri stanno zitti.
E allora vi chiediamo: vi sembra normale che se i salari diventano sempre più bassi, se i datori di lavoro evadono le tasse, se il lavoro è diventato precario, se gli affitti sono troppo cari, se gli uffici immigrazione sono sotto organico, se le amministrazioni sono disattente, a pagare dobbiamo essere noi, le nostre famiglie, i nostri figli? A noi no, e tutto questo lo chiamiamo “razzismo istituzionale”.
Sabato pomeriggio 13 giugno, dopo mesi di assemblee nelle province di Bologna, Modena, Rimini e Piacenza, da tante parti dell’Emilia Romagna manifesteremo a Bologna per far sentire la nostra voce. Chiederemo l’abolizione della legge Bossi-Fini, denunciare gli accordi di Dublino e l’assurda discussione europea sui rifugiati.
Saremo infine sotto i palazzi della regione per incontrarvi perché, vista la situazione che abbiamo descritto, vi chiederemo degli impegni precisi:
- Che vi facciate portavoce con il governo nazionale del fatto che per cambiare questa situazione ormai insostenibile, noi rivendichiamo un permesso di soggiorno che abbia la durata minima di due anni, incondizionato, slegato dal lavoro e dal salario, consegnato e rinnovato in tempi veloci. Questa rivendicazione sarà presentata il 13 giugno anche in altre città e non si fermerà;
- La convocazione di un tavolo regionale con i dirigenti di Questure e Prefetture e funzionari degli Uffici Immigrazione, affinché in tutta la regione la gestione delle pratiche di rinnovo del permesso non sia lasciata alla discrezionalità dei singoli uffici, non applichi in modo restrittivo le normative e cessino i ritardi;
- Che ci sia una maggiore trasparenza sulla gestione dell’accoglienza dei rifugiati e su come la Regione ha intenzione di operare nella nuova agenda europea delle migrazioni approvata il 13 maggio;
- Che la Regione si faccia portavoce dell’urgenza di accelerare il riconoscimento della cittadinanza alle nuove generazioni di figli di migranti nati o cresciuti in Italia e spieghi come intende procedere: vogliamo la cittadinanza subito!
- Che sia realmente riconosciuto il diritto ad avere una residenza, indipendentemente dalla presenza di un contratto di affitto, poiché dalla residenza dipendono anche i permessi di soggiorno e altre pratiche amministrative: l’emergenza abitativa non si risolve negando i diritti basilari come fa l’articolo 5 del decreto Lupi, che deve essere cancellato come da mesi chiedono i movimenti per la casa!
Scarica pdf: Lettera migranti Regione
Coordinamento Migranti