A inaugurare il semestre di presidenza europea, l’Italia, dopo Mare Nostrum, si mette alla guida di una nuova operazione che dovrebbe rispondere al problema dell’immigrazione clandestina in Italia e in Europa. Lo fa di nuovo con un altisonante nome in latino, Mos Maiorum, che richiama il rigore della tradizione romana e gli antichi costumi di chi vorrebbe gestire le migrazioni come un fastidioso problema di ordine pubblico. Ecco allora l’Unione Europea mettere in campo una vasta operazione di polizia il cui intento dichiarato sarebbe quello di «indebolire i gruppi della criminalità organizzata che facilitano l’immigrazione illegale» e, in secondo luogo, di mappare le rotte dei migranti e «quindi» il modo di agire della rete criminale che gestisce il traffico di persone sul territorio europeo.
Tra il 13 e il 26 ottobre i migranti saranno così al centro di una perquisizione generale ai confini, negli aeroporti e nelle stazioni e su tutto il territorio europeo. Come sia possibile indebolire i gruppi criminali o tracciare le rotte dei trafficanti attraverso un imponente controllo di polizia, 18 mila agenti in tutto, resta un mistero. Tanto più se a subire questa vera e propria caccia all’uomo sarà chi lotta ogni giorno e subisce i soprusi delle stesse reti criminali, oltre che la violenza dei confini europei, muore in mare, paga cifre enormi, solo per scegliere come vivere. Resta sempre un mistero come sia possibile stanare i gruppi criminali, che fanno profitti sulla pelle dei migranti e sono gestiti anche da italiani, facendo compilare ai migranti stessi formulari in cui dovrebbero riportare non solo le informazioni sulla loro età, genere e nazionalità, ma anche il punto d’accesso e le modalità del loro viaggio, i documenti falsi utilizzati, e i trasporti clandestini di cui hanno usufruito. Di fronte alle fin troppo «misteriose» politiche europee i migranti sanno bene che con ciò saranno schedati e, anche se non espulsi immediatamente, saranno registrati come una minaccia e la loro permanenza gestita attraverso politiche di controllo e reclusione, di sfruttamento e paura. È l’ennesima presa in giro. Non solo per i migranti ma anche per coloro a cui questa operazione mediatica è rivolta.
Non si tratta della prima operazione di «accertamento», quasi ogni presidenza ne ha lanciata una con l’intento di registrare sommariamente la situazione dei migranti sul territorio e produrre di conseguenza politiche appropriate. Le scorse operazioni hanno portato alla luce il fatto che la maggior parte degli irregolari fanno richiesta di asilo solo dopo essere stati intercettati e questo è stato definito un «abuso del diritto d’asilo». A dimostrazione della totale inadeguatezza delle politiche europee sull’immigrazione, questo tipo di indagine, se così può essere chiamata, viene quindi nei fatti utilizzata politicamente per scoraggiare ulteriormente la richiesta d’asilo che già i migranti evitano perché – secondo il protocollo di Dublino II – li costringe a restare nel paese in cui hanno fatto richiesta, limitando la loro libertà di movimento in modo permanente.
Sembra inoltre evidente che questa ricerca a tutto campo, sulla quale s’investe come se l’Unione Europea non avesse altri mezzi per scoprire le rotte dei trafficanti, non è che un inventario dei migranti irregolari sul territorio diretto a una gestione razzista della mobilità da parte delle istituzioni italiane ed europee, secondo gli «antichi costumi».
L’equazione tra migrazione e criminalità è davvero un antico costume, proprio un vecchio vizio della gestione delle migrazioni mondiali. Veniamo quotidianamente sottoposti a una politica amministrativa razzista, ai confini, nelle questure, nei Cie, nei luoghi di lavoro, nelle scuole. Noi sappiamo però che migrazione è coraggio e libertà e che per loro non c’è confine o frontiera che tenga.