Dopo aver partecipato ai picchetti e alla manifestazione di Piacenza, pubblichiamo un’intervista ad Arafat, lavoratore della logistica per il magazzino di Ikea e protagonista della lotta di questi giorni. Sul lavoro, migranti e italiani devono lottare insieme, contro lo sfruttamento e per un salario dignitoso. Cosa fare per respingere i ricatti, in tempo di precarietà, crisi e legge Bossi-Fini? Di questo ci occuperemo nel prossimo numero di Senza Chiedere il Permesso che uscirà a breve.
Qual è la tua valutazione delle reazioni dell’Ikea di oggi e di ieri?
Ikea ha fatto una mossa sbagliata nell’annunciare che verranno licenziati 107 lavoratori, perché così fa incazzare tutti i cittadini che vivono in questo territorio. Questo annuncio significa che non vogliono rispettare nessun contratto, nessuna dignità del lavoratore, che non rispettano nemmeno il diritto di scioperare garantito dalla legge italiana. In poche parole, i lavoratori che hanno scioperato hanno chiesto un salario dignitoso, il rispetto del contratto, il rispetto all’interno dell’azienda. Se loro rifiutano questo, significa che loro, che la loro organizzazione non rispetta i contratti, né la dignità dei lavoratori. Noi sentiamo sempre una certa immagine dei trattamenti e dei pagamenti dell’Ikea, però alla fine, adesso si dimostra il contrario.
Come pensate di portare avanti la lotta?
Noi cercheremo di allargare la lotta, non solo a Piacenza. Sabato prossimo in 20 punti vendita dell’Ikea facciamo il volantinaggio per la solidarietà ai lavoratori dell’Ikea qui di Piacenza e secondo me se l’Ikea è intelligente deve fare un passo molto veloce a integrare questi lavoratori.
Quanto è importante la partecipazione alla lotta di lavoratori che vengono anche da altri luoghi di lavoro?
La solidarietà darà la vita alla lotta, senza la solidarietà degli altri morirà la lotta. Io chiedo tutta la solidarietà possibile di tutte le altre città. Perché oggi tocca ai lavoratori dell’Ikea e domani tocca ai lavoratori da un’altra parte. Se noi dimostriamo che non riescono a fare morire la lotta, la lotta vivrà in una rete di solidarietà da tutte le parti.
La maggior parte dei lavoratori che stanno portando avanti questa lotta sono migranti. Quanto è stato usato come ricatto la condizione migrante per attaccare la lotta?
La maggioranza in tutto il polo logistico è di migranti, il 90%. E adesso stanno partecipando anche alcuni italiani, sono 3 gli italiani che stanno partecipando. Ma comunque gli italiani devono muoversi con i migranti, perché alla fine tutti e due sono lavoratori. Lascia perdere che uno si chiama “migrante” e l’altro “italiano”, perché alla fine ognuno porta un salario a casa e ha una famiglia sulle spalle, sia italiano o migrante. Allora secondo me è il momento di unirci, italiani e stranieri, contro questo sistema di schiavismo, che c’è all’interno della logistica. Bisogna che ci uniamo contro lo sfruttamento, contro la mancanza di rispetto e di contratto, perché insieme possiamo avere un salario dignitoso e la dignità di tutti quanti.