Il 30 Giugno i migranti si sono trovati in presidio di fronte alla prefettura per chiedere una moratoria sui permessi di soggiorno dei migranti residenti nelle zone terremotate e per denunciare le male pratiche che la questura di Bologna mette in atto sistematicamente contro i migranti, proponendo delle soluzioni per il sostegno di lavoratori e famiglie. A due mesi di distanza, in assenza di un cambiamento di rotta visibile da parte di Questura e Prefetturea, il Coordinamento Migranti è obbligato rinnovare le richieste e fa il punto della situazione.
La legge stabilisce solo la durata minima di validità dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Su molte altre cose non è chiara o non stabilisce regole. La Questura di Bologna ha deciso di usare i margini di discrezionalità di cui gode per adottare un’interpretazione molto restrittiva: un fatto conosciuto e oggi confermato anche da pubblicazioni scientifiche sull’argomento. In particolare, la Questura di Bologna:
- rilascia permessi di breve durata;
- richiede spesso l’integrazione di documenti che provino il reddito e il versamento dei contributi, di fatto rendendo più lungo e difficile il rilascio dei permessi;
- continua ad impiegare un periodo medio di 3-4 mesi per espletare le pratiche;
- continua a rilasciare permessi la cui validità è limitata, perché partono dall’inoltro della domanda e non dalla data del rilascio.
Su questi punti la questura di Bologna può comportarsi diversamente. Noi vogliamo impedire che la corsa a quel pezzo di carta che si chiama permesso di soggiorno diventi una corsa a tanti pezzi di carta che non valgono niente e che servono solo a colpire i lavoratori, a causa delle truffe, delle sanatorie e del comportamento della Questura. Le nostre richieste riguardano la durata del permesso di soggiorno per ricerca lavoro, la valutazione dei criteri di reddito, la sanatoria e i tempi di rilascio dei permessi per i richiedenti asilo. In particolare, considerando il periodo di crisi economica, queste sono le nostre rivendicazioni immediate:
- Rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione a tutti, senza applicare in modo discrezionale i requisiti di reddito o altri impedimenti;
- Rilascio del permesso di soggiorno per lavoro in presenza di un rapporto di lavoro, anche dopo lunghi periodi di disoccupazione, senza richiedere discrezionalmente i redditi pregressi;
- Che non vengano richiesti i contributi INPS, esonerando il lavoratore migrante dalle colpe dei datori di lavoro che non versano i contributi;
- La durata del permesso per lavoro e per attesa occupazione comunque non inferiore ai 12 mesi per tutti, come tra l’altro previsto ora anche dal decreto Fornero;
- Rilasciare a tutti i lavoratori migranti truffati dalle sanatorie il permesso di soggiorno di almeno 12 mesi;
- Garantire sempre il rinnovo automatico del permesso di soggiorno CE per lungo periodo anche ai famigliari di una persona che ne è già titolare in tempi rapidi;
- Rilasciare permessi di soggiorno la cui data di validità parta dal momento del rilascio, e non da quello dell’inizio della pratica;
- Istituire uno sportello informazioni affidabile all’interno dell’ufficio immigrazione della Questura (via Bovi Campeggi).
Il fatto che la Questura usi i suoi margini di discrezionalità per complicare i procedimenti di rinnovo ci fa capire che la crisi è per le istituzioni una falce per eliminare gli indesiderati, favorendo ancora una volta una clandestinizzazione di massa e processi di rimpatrio, che hanno anche il coraggio di chiamare “volontario”.
La prospettiva della sanatoria ha placato gli animi, pur trattandosi di un’espulsione organizzata che salvaguarda soltanto chi ha i soldi per pagarsi il diritto di restare: le condizioni di questa nuova truffa erano chiare dall’inizio, ma c’è stato addirittura chi ha parlato di discontinuità rispetto ai governi precedenti. I numeri dei richiedenti ci dicono che questa sanatoria è stata solo un colpo alle tasche dei migranti e non una possibilità reale di miglioramento delle loro condizioni di vita e lavoro. Dietro la parola sanatoria, infatti, si è nascosta la necessità di riempire le casse Previdenziali dello stato sulla pelle dei lavoratori, i quali hanno versato oltre 1000 euro per non avere nemmeno la certezza di ricevere il permesso di soggiorno. La truffa della sanatoria sembra spostare nuovamente l’asse delle garanzie, sempre più indirizzate verso i datori di lavoro e meno verso i lavoratori, che devono pagare per poter essere regolarizzati. Un calcolo sbagliato, visto che le domande sono state di molto inferiori ad ogni attesa.
Noi sappiamo che questo favorirà ancora di più la precarizzazione dei lavoratori e delle loro condizioni di vita, che già oggi ci sono datori di lavoro che – aiutati dalla sanatoria – cercano di sostituire loro dipendenti con altri ancora più ricattabili, perché è sempre dai datori di lavoro che dipende il permesso di soggiorno.
La questione dei controlli dei contributi per il rinnovo del permesso, inoltre, complica ulteriormente la vita dei migranti che, come sempre, subiscono oltre al danno anche la beffa: loro non possono rinnovare il permesso se la Questura non riscontra che i loro contributi sono stati regolarmente versati, ma la legge permette ai padroni di versarli anche con alcuni mesi di ritardo, pagando interessi molto bassi, certamente minori di qualunque prestito contratto con le banche. Gli interessi delle imprese sono come sempre fatti salvi, mentre ancora una volta, l’attacco alle condizioni generali dei lavoratori si scarica con particolare violenza sui migranti.
Mentre aumentano controlli, file e burocrazia per i migranti, il governo libera ulteriormente il datore di lavoro di obblighi amministrativi eliminando la figura giuridica del contratto di soggiorno. Una misura che certamente non risponde alle rivendicazioni dei migranti, piuttosto sembra favorire ulteriormente la discrezionalità delle Questure. Verificando, infatti, il reddito passato attraverso la richiesta dell’anagrafe INPS dei contributi versati, le Questure rendono ancora più stringente l’obbligo del lavoro per rinnovare il permesso: non serve più un contratto di soggiorno firmato dal datore di lavoro, non basta più presentare un contratto di lavoro in essere, ciò che stabilisce la possibilità di restare o meno nel paese non è la garanzia del lavoro futuro, ma la certezza del lavoro passato. In altre parole, spostando la questione sul reddito passato e non direttamente sul contratto presente, non è possibile uno stato di disoccupazione, anche temporanea, dei migranti, i quali potrebbero non raggiungere il reddito sufficiente per rinnovare il permesso: l’eliminazione del contratto di soggiorno sembra essere un tentativo di abolizione della disoccupazione, attraverso l’eliminazione dei disoccupati, che possono essere espulsi dal paese e dalle statistiche.
In questa situazione, i migranti, inoltre, non sanno dove poter ottenere le informazioni necessarie. Ciò è da imputare al fatto che ancora non esiste un vero e proprio punto di riferimento per i migranti, ossia uno sportello per ricevere informazione al quale potersi rivolgere in qualsiasi momento; questa era una delle nostre richieste, ma per ora è rimasta solo una promessa cui la questura non ha dato seguito.
Di fronte a questo, limitarsi a segnalare le criticità e pensare di risolvere i casi individuali non cambierà nulla. Per questo ribadiamo pubblicamente le richieste avanzate il 30 giugno e pretendiamo risposte dalla Questura, perché se la Bossi-Fini – aggravata dai decreti messi in atto dall’ex ministro Maroni – è già una fabbrica di clandestinità e precarietà, anche alla questura va la responsabilità di un’applicazione restrittiva della legge nazionale e delle sempre peggiori condizioni dei migranti.